La guardava attentamente nelle sue mani. Ne era certo, era proprio la Guida, così come ordinata dal suo mandante. Venne profumatamente pagato e l’uomo d’affari, grazie alle istruzioni, aprì il suo supermercato. Da quel giorno, la lista saltò di mano in mano, diffondendosi a macchia d’olio e subendo variazioni di ampio respiro tra i numerosi commercianti, soprattutto tra i carrelliani, favorevoli all’uso del carrello e gli scatoliani, fedeli all’antica pratica di Lehmm di usare le scatole per fare la spesa. Costoro, pur cogliendo precisamente il funzionamento del supermercato, non facevano che allontanarsi sempre di più dalla sua inimitabile bellezza primordiale, concepita dal Grande Aukan. Anche i valori con cui esso era nato si stavano perdendo nel tempo: infatti, i più avidi aspettavano di aprire la loro attività al solo scopo di massimizzare il profitto, senza guardare in faccia a nessuno. Ormai ognuno pensava solamente per sé e stava venendo a mancare quel rapporto umano tipico delle vecchie botteghe e dei centri artigiani. I piccoli negozianti erano diventati uomini d’affari senza scrupoli, disposti a mettere da parte il loro lato umano per vedere i loro imperi economici crescere. La concorrenza sfrenata regnava sovrana.
Nel corso della storia, furono numerose le figure che intuirono che tale strada non fosse quella giusta, a causa delle conseguenze che si stavano venendo a creare. Uno dei primi, Giulio Cheddare, progettò di autoproclamarsi CEO di tutti i supermercati dell’Impero, per portarli sotto il suo controllo e unirli sotto un unico nome, per fermare le faide. Ma quest’idea, contraria alla tradizione della Repubblica, non piacque ai senatori che, temendo un eccessivo accentramento del potere, progettarono una congiura nei suoi confronti. Fu così che, all’atteso buffet di formaggi stagionati del Senato, si scagliarono contro l’imperatore, che venne pugnalato con i tagliagrana serviti assieme ai taglieri.
Alla sua morte, gli scontri economici provocati dalla concorrenza dei supermercati ripresero vigore, giungendo perfino a guastare il rapporto con la clientela. Nella Frarancia del Re Sale XVI, il popolo lamentava l’aumento esorbitante dei prezzi della pasta, in particolare di quelli della marca Bahrilla. Per rimediare alla grave crisi sociale ed economica creatasi, il Re convocò gli stati generali, ma le riunioni terminarono con il prevalere dei bisogni dei ceti più ricchi ed agiati, perfettamente capaci di permettersi quelle abitudini di spesa. A seguito di quell’infruttuoso epilogo, le tensioni aumentarono e il popolo, affamato e furioso, assaltò il più importante magazzino di pasta dello Stato per potersi sfamare. L’insurrezione passò alla storia come la presa della Bahrilla e diede inizio alla rivoluzione frarancese.
Ulteriori anni passarono e Karl Mutty, un personaggio di spicco nel panorama della sociologia, realizzò un’illuminante teoria, secondo la quale la concorrenza tra i supermercati, da lui ritenuta nociva e distruttiva, insieme alla divisione radicale tra scatoliani e carrelliani, doveva essere superata attraverso un’unione collettiva degli stessi per il benessere della società. I suoi lungimiranti ragionamenti misero in discussione le figure più illustri dell’epoca operanti nel settore, provocando diverse reazioni nei suoi confronti, di sostegno e di sdegno. Le sue parole diedero vita ad una nuova corrente di pensiero, che nel corso dei decenni successivi portò a vivaci dibattiti, meeting tra le alte sfere manageriali e tentativi di intermediazione tra marchi e catene, ma senza l’ottenimento di risultati concreti all'atto pratico. In questo clima di tensione, l’artista Marcello Du Champagne, ispirato dalle teorie di Mutty, realizzò un’opera tanto provocatoria quanto riflessiva: dal titolo “il cestino”, rappresentava la congiunzione tra quelle che erano le dimensioni di una scatola ma con le rotelle di un carrello. La critica fu spietata nei suoi confronti, per l'oltraggio a quella che era la dicotomia vigente ormai da secoli tra le due filosofie di vendita e credenza ma, d'altra parte, alcuni imprenditori trovarono geniale il suo “graffio sociale” e adottarono questa soluzione come una ulteriore possibilità d’esperienza d’acquisto. Venne così introdotto in alcuni visionari supermercati il nuovo modello duchampagnano del “cestino”, visto da molti come un fiducioso compromesso avanguardistico. L’èlite dei conservatori carrelliani però, preoccupata da questa nuova tendenza che vedeva diminuire l'importanza attribuita al carrello fino a quel momento, diede vita al Grande Consiglio dei Carrelliani, un’organizzazione gerarchica di stampo aziendalistico che prevedeva di elaborare strategie efficaci per ripristinare, come suggerito da alcuni membri, l’utilizzo esclusivo del carrello come ai suoi albori.
Nel corso dei decenni, il Gran Consiglio acquisì sempre più potere e influenza e un male giaceva nascosto tra i suoi membri: tutti i tentativi finalizzati a portare il carrello come elemento primario di esperienza d’acquisto non rappresentavano altro che l’inconscio fine materialistico dei proprietari di tali supermercati di sovrastare gli scatoliani e il nuovo movimento futurista dei cestiniani (coloro che utilizzano il cestino nell’esperienza d’acquisto), perdendo così di vista il valore mistico più profondo e divino del carrello, comparso per la prima volta ai primi due carrelliani, Pinolo e Mascarpone. L’ostilità e l’arroganza alle alte sfere decisionali non facevano altro che peggiorare la situazione. Il mondo aveva bisogno di cambiamenti.
Una mattina di primavera della quinta annata del formaggio stagionato, un umile ragazzo di nome Jeihjeih, diretto discendente di Mascarpone e abitante della grande metropoli di Milananas, si alzò di buon'ora per compiere i suoi studi. Aprendo la dispensa per cercare i suoi cereali e fare colazione, si rese conto che questi non c’erano. Perciò, costretto dalle circostanze, si avviò verso il supermercato più vicino che, coincidenza vuole, avesse appena aperto. Entrò all’interno e, dopo aver capito come orientarsi, cercò il corridoio più adatto per ciò che cercava. Si lanciò subito verso la confezione della sua marca preferita, quando con la coda dell’occhio notò qualcosa di ancora più accattivante: dei biscotti a forma di emù, il suo animale preferito. Incuriosito, non poté fare a meno di prenderli e di portarli a casa. Quando aprì la scatola, li vide e sembravano ancora più buoni dell’immagine rappresentata all’esterno. Stava per addentarne uno, quando notò una scritta sul fondo, che recitava:
“Il carrello ha sempre simboleggiato l’abbondanza”.
Era riportata una firma, “Il Grande Aukan”. Non capiva che senso avesse ma poteva affermare con certezza che quell’etichetta era stata appiccicata lì dentro all’ultimo minuto. Infatti era storta e in una posizione decisamente inusuale per un packaging ben fatto. Si sforzò di comprendere meglio cosa potesse significare e ricordò quanto studiato negli anni di scuola e a come i carrelli avessero sempre avuto un ruolo centrale nella storia, tra alti e bassi, nonché delle teorie di Karl Mutty, di cui era un seguace. Ispirato, uscì di casa con il suo nuovo acquisto alimentare e andò in biblioteca, per saperne di più. I libri in merito scarseggiavano e non era facile trovare delle testimonianze dirette della nascita dei supermercati.
Passò notti intere tra quegli scaffali e approfondì il vissuto di due antichi personaggi, che avevano trovato il primo supermercato, già pieno di tutti i prodotti necessari, apparentemente comparsi dal nulla. Continuò a leggere e approfondì la storia di un avido imprenditore, della nascita prima del monopolio, poi del duopolio e infine della concorrenza perfetta. Il supermercato, alla luce di quelle nuove informazioni, non sembrava più solo un posto dove far la spesa, ma un regalo divino, spedito da chissà quale entità superiore. Ma tutte quelle vicende, come già sapeva, avevano generato solo problemi che non erano ancora stati risolti. Perché il carrello avrebbe dovuto rappresentare l’abbondanza permanente, in un contesto del genere? Senza risposta, prese il cellulare di getto e cercò l’unico contatto che avrebbe potuto aiutarlo: Gjehm, un suo amico appassionato di filosofia e di religioni orientali, che forse avrebbe potuto leggere il significato dietro quel messaggio tanto criptico. Rispose dopo pochi squilli e gli sottopose l’agognata domanda, senza entrare nel dettaglio. Dall’altro lato del telefono, un breve silenzio. Poi rispose:
“Forse quelle parole non sono da prendere alla lettera, bensì potrebbero rappresentare una metafora.”
Jeihjeih si illuminò: il carrello di cui si stava parlando era in realtà riferito a qualcosa di più profondo. Cosa poteva essere l’abbondanza permanente, se non la salvezza dell’essere umano? Se fosse giunta, la gente avrebbe potuto fare a meno dei supermercati e vivere della ricchezza offerta dal Grande Aukan, portata ovviamente grazie ad un carrello. Ma mancava qualcosa: perché la profezia non si era ancora avverata? Forse che quella divinità stesse aspettando un momento specifico per arrivare? Poi capì: ricordò tutto quello che aveva studiato e di tutte le vicende susseguitesi nella storia. Il motivo per cui l’abbondanza permanente non era ancora giunta è che l'umanità doveva guadagnarsela, cessando i suoi istinti più avidi ed egoistici, scatenati proprio dal primo supermercato. L’unico modo per farlo era unire le forze e superare la cieca concorrenza, fondendo tutti i supermercati sotto un unico nome, come se fosse il primo. Solo così si sarebbe avverata la profezia del Carrello.